Memorie di un alieno
E’ strano come in certi momenti tutta la tua vita riesca a passarti davanti all’occhio. Forse non proprio tutta, ma solo quella frazione che ti ha portato ad essere quello che sei; di solito sono errori, cose di cui ti penti, che avresti fatto in un altro modo, e ti trovi a desiderare di avere una seconda possibilit…, perch‚ adesso ti sembra possibile.
Adesso a un minuto alla fine della tua vita, ti sembra possibile, concreta e tangibile la possibilità di poter diventare un essere migliore. Ma il tuo tempo è scaduto e l’unica speranza che ti rimane è quella di far tesoro delle peggiori azioni che hai commesso, per non ripeterle la prossima volta… sempre che ci sia una prossima volta.
Rivedo i miei genitori, rivivo il loro amore. Amore che forse non mi sono mai meritato. Tutto, tutto quello che vorrei avere la possibilità di rivivere in modo diverso, è iniziato il giorno in cui mi diplomai…
“Chip”, mi disse la mamma, “lo sai che non versiamo in condizioni economiche invidiabili. Quindi, non abbiamo potuto mantenere la tradizione di regalarti per questo giorno speciale la galassia che tanto desideravi. Però, ci sarebbe il pianeta Aseter…”.
Conoscevo la situazione drammatica delle nostre finanze, tutta via ero rimasto un po’ deluso.
Io le promesse le mantengo sempre, loro no. Tuttavia accettai il loro dono e dopo neanche 2 anni luce, mi trasferii nella mia nuova dimora. Forse avevo giudicato troppo in fretta i miei, il pianeta era davvero bello, piccolo, intimo e soprattutto tutto e solo mio. I primi tempi furono davvero superlativi. Potevo fare tutto ciò che volevo, senza sentire i rimproveri di nessuno, ma presto la noia prese il sopravvento.
Io, solo e sempre io! Certo, telefonavo alla mamma, papà passava a trovarmi, ma mi sentivo molto solo lo stesso. I pianeti vicino al mio erano disabitati, se finivo lo zucchero dovevo montare sulla macchina a reazione nucleare e percorrere più di due costellazioni, due e mezzo per la precisione, prima di trovare un pianeta abitato. Non ero io che abitavo fuori mano, è che nello spazio c’è così tanto spazio che è veramente difficile avere dei dirimpettai. Soffrivo di una solitudine cosmica. Dovevo trovare una soluzione.
Avevo sentito di un tizio che riusciva a penetrare i sogni di chiunque e con loro viveva fantastiche avventure. Io non avevo quella capacità straordinaria, ma iniziavo ad avere un’idea di come potevo risolvere il mio problema.
Sapevo che in un pianeta lontano dal mio di almeno 14352 galassie esistevano degli esseri, gli uomini, che non credevano alla vita su altri pianeti – non tutti almeno – , avrei potuto lavorare in incognito. Così comprai tutti i Cd-Rom che trattavano l’argomento e cominciai a studiare i comportamenti umani, affascinato e sconvolto da tanta stupidità! Sembrava facile introdursi tra loro, ma c’era un grosso problema da risolvere: il mio aspetto. Ero verde, con un solo occhio e due grosse antenne sulla testa sproporzionata. Ritenevo impossibile vivere tra di loro, si sarebbero sicuramente accorti della differenza tra di noi, non avevo dubbi in proposito! La popolazione era quella giusta, io dovevo solo stendere un piano efficace per avere un po’ di compagnia.
La risposta arrivò in sogno, un po’ influenzato, forse, dal personaggio che mi aveva ispirato.
L’unico modo per non stare più da solo sul mio pianeta non era trasferirmi personalmente, ma trasferire loro. E se non volevano? Non gli avrei chiesto il permesso!!!
Iniziai con questo piano, senza sapere bene cosa fare. Per prima cosa decisi di fare un sopralluogo, per capire un po’ come vivevano quelle strane creature. Per dieci giorni consecutivi montai sulla mia macchina a reazione nucleare e osservai gli uomini, prendendo appunti e studiandoli a casa.
Capii subito che i bersagli più facili sarebbero stati i bambini. Iniziò così la mia carriera di rapitore, il Cavaliere Verde che rapiva e poi riconsegnava alle famiglie i pargoli. La cosa stravagante era che questi bimbi non si stupivano affatto del mio aspetto, in realtà vedendo i loro giochi nelle camerette capivo bene anche il perchè. Io ero decisamente più bello dei loro pupazzi, nonostante il mio occhio singolo e la mia pelle verde.
Fu così che conobbi Laura, una bimba dagli occhioni azzurri e i capelli biondi. Mi raccontò favole meravigliose che io non conoscevo. Stava bene con me, ma dopo un po’ iniziò a chiedere della mamma. Ogni giorno era sempre più triste e io sempre più nervoso, infine la riportai a casa sua, ma io non tornai sul mio pianeta con le mani palmate vuote.
Tornò con me Riccardo che mi parlò degli orchetti, dei troll, delle epopee fantasy. Il genere non era quello che più mi attraeva, ma il suo entusiasmo era contagioso. Era sempre così allegro e pieno di iniziative, cosa decisamente in contrasto con il mio carattere.
Lo riportai a casa per la disperazione, la solitudine era terribile, ma molto meglio del sovarccarico emotivo.
Mi sembrava di aver risolto totalmente il mio problema, ma alla fine di ogni incontro i miei giovani ospiti volevano tornare a casa loro. Nessuno voleva stare con me. Era questa la realtà.
Rapii mille e più bambini, ma il finale si ripeteva sempre e io mi sentivo disperato. Talvolta alcuni di loro si ricordavano di me e mi scrivevano lunghe letterine colme d’affetto, ma io ero comunque destinato a stare solo. Fu durante uno dei miei giri di ricognizione sulla terra, mentre meditavo un nuovo rapimento che scoprii di avere un cuore. Non volevo rapire più nessun bambino, loro dovevano stare a casa con i loro genitori e io sarei rimasto solo con il loro ricordo. Passai a salutare tutti i miei giovani amici. Mi abbracciarono e mi baciarono tutti.
Quando andai da Riccardo, lui mi diede una letterina. “Leggila quando sarai arrivato a casa, e rispondimi se ti è possibile!”. Fu il nostro ultimo incontro, avvenuto non più di tardi di due giorni fa.
Appena arrivato a casa aprii la busta. La lettera era scritta in stampatello da un bambino che non conosce ancora bene la differenza tra le lettere:
Caro Chip, grazie per avermi portato via con te. Sono stato bene, ti voio bene. Ieri ho sentito la mamma piangere, io sono corso da lei e mi ha detto che è troppo tardi, che ora è finito tutto.
Non ho capito bene, ma diceva qualcosa sul sole, che si spegne.
Puoi aiutarmi tu a capire?
Un bacio
Richi.
Non avevo capito bene il suo discorso, forse perchè‚ anche lui non lo aveva capito affatto, ma mi misi subito il collegamento con la base stellare dell’energia gratuita. “Sì, signor Chip, il sole si spegnerà tra 36 ore.” fu la risposta alle mie domande. “Scusi colonnello, se la disturbo ancora, ma la popolazione della terra?”. “La terra morirà con tutti i suoi abitanti.” e interruppe il collegamento.
I miei bambini moriranno? Non riuscivo a cancellare questa domanda dal mio cuore, guardavo il mio pianeta e mi spremevo le meningi per trovare una soluzione…
Avevo la risposta, dopo qualche ora, avevo la risposta. Andai a trovare i miei genitori, li baciai e dissi loro che mi sarei trasferito in un altro posto e che non sarei più tornato. Mamma piangeva, papà aveva le lacrime agli occhi. “Papà,” gli chiesi “mi presti il tuo trasportatore planetario?”. “Certo, Chip, ma sei veramente convinto?”. “Si papà, grazie di tutto a tutti e due!”.
Agganciai il mio pianeta al gancio traino del trasportatore di papà e iniziai il mio viaggio.
Raggiunsi in fretta il sole. Programmai il trasportatore in modo che tornasse dai miei genitori evitando buchi neri e meteoriti e misi una lettera sul sedile, dove spiegavo a loro il motivo della mia scelta e il mio vero obiettivo. Poi salii sulla mia macchina a reazione nucleare e mi allontanai dal mio pianeta. Quando lo vidi piccolo piccolo, ingranai la marcia e mi precipitai a velocità supersonica verso di esso.
E adesso sono qui, a poche decine di metri dal mio pianeta e procedo con una velocità al limite delle capacità della mia vettura. Tra poco ci sarà lo schianto, spero solo che funzioni e che ripari al male che ho fatto a tutti quelli che amavo. Ciao!
Un’esplosione e la vettura di Chip si perse nel suo pianeta in fiamme.
E fu così, che per amore, nacque un nuovo sole!