Orchidea

Orchidea

Il vecchio Aureliano viveva, da qualche anno ormai, su una sperduta isoletta nell’oceano Indiano. Solo, per modo di dire, perché a fargli compagniac’erano i tanti animali che popolavano l’isola ed in particolar modo Josè, variopintopappagallo dalla voce stridula e dai modi rudi ma schietti, e Don Enrique, vecchio e cieco Setter, fidato compagno di tante avventure. Orchidea era il nome dell’isola, e tutti erano a conoscenza di questo benché nè Josè, cheera uno tra i più vecchi abitanti, nè nessun’altro sapesse spiegarne il motivo: infatti mai alcuno tra loro aveva visto una pianta di questo tipo crescere sull’isola.

Era l’ora del tramonto e Aureliano in compagnia di Josè ed Don Enrique,come sua abitudine,sulla spiaggia, ammirava il meraviglioso spettacolodel sole che si inabissa nelle acque cristalline: “Stasera il colore del cielo è strano, ci sarà una tempesta in alto mare” disse Don Enrique “Hai ragione, quel blu all’orizzonte non fa presagire nulla di buono. E’ sicuramente burrasca! ” replicò Aureliano. “Spero che non ci porti altri due buoni a nulla come voi!” sentenziò ironico Josè girandosi a centottanta gradi sulla spalla di Aurelianoe spiccando il volo verso l’entro terra.

“Dio voglia che nessuna imbarcazionestia navigando nelle vicinanze stasera” sospirò il buon Aureliano e, seguito da Don Enrique, si incamminò nella direzione presa da Josè.
Si fece l’oscurità in quell’isoletta davvero deliziosa: la vegetazione tropicale, era lussureggiante e generosa di prelibati frutti, gli animali docili e pacifici, l’acqua dolce abbondante, proveniente dalla montagna non troppo alta situata su un lato dell’isola dove, nel punto più elevato, si potevano scorgere le rovine di quello chesicuramente era stato un bellissimo palazzo.

La notte diede ragione ai due amici che dormivano pacifici nella loro capanna; soffiò un forte vento e si videro infuocate saette squarciare il cielo cupo. Li destò la luce abbagliante di una mattina fresca e luminosa, la notte appena trascorsa sembrava essere ormai solo un lontano ricordo; Aureliano, Don Enrique e Josè raggiunsero la spiaggia per la solita passeggiatamattutina quando: “Lo sapevo io!” esclamò Josè allungando il collo e spiccando il volo verso qualcosa adagiato sulla sabbia poco più avanti, e subito: “Venite, cialtroni!” urlò ai due amici che, accorsi, rimasero muti per la sorpresa “Sono stato ascoltato solo ametà!” concluse stizzito Josè. Era un naufrago giovane, dalle belle forme e vestito con abiti eleganti privo di conoscenza rea attorniato da pochi resti del vascello naufragato la notte precedente. “Buon Dio!” esclamarono insieme Aureliano e Don Enrique. “Bisogna subito aiutarlo” continuò Aureliano e, a fatica, incitato dalle strilla di Josè, portò il naufrago alla capanna e lo curò amorevolmente finchè riprese conoscenza. “Che brutta cera!” esordì Josè. “Attento a non prendere fuoco!” replicò Don Enrique, minaccioso. Aureliano lanciò uno sguardaccio versoi due per zittirli, poi al naufrago: “Come ti senti, amico?” “Sono stato meglio, grazie.Dove mi trovo?” rispose “Benvenuto a Orchidea!” Aureliano esclamò. Trascorsero le settimane eAureliano, Don Enrique e Josè strinsero una sincera amicizia col naufrago; appresero che il suo nome era William e che era un principe spodestato dal suo trono da intrighi di palazzo e costretto a partire con pochi fedeli alla ricerca di una terra nella quale fondare, con la sua consorte, un nuovo regno. Anche William prese l’abitudine di andare ogni sera a guardare il tramonto con i suoi nuovi amici. Una sera durante un tramonto uguale a quello che precedette il naufragio di William, Don Enrique disse: “Anche questa notte ci sarà burrasca!” “Che la Provvidenza faccia sì che non ci sia un naufragio!” replicò Aureliano.

“Questa volta chiudo il becco, voi tre rompiscatole mi bastate e mi siete d’avanzo!” gracchiò Josè.
La mattina seguente i quattro amici trovarono sulla spiaggia le tracce di un nuovo naufragio.
“Sono qui da quasi cinque anni ed ogni volta vedere questi legni è una stretta al cuore!” disse Aureliano “Non ti è mai capitato di scorgere, anche in lontananza, la sagoma di una imbarcazione?” chiese William “Mai” rispose Aureliano “Eppure le tempeste non sono frequenti, è strano che nessuna nave sia mai riuscita ad approdare” continuò William “Senon a pezzi” aggiunse Don Enrique interrotto dalle strilla di Josè “Mi state riducendo in pezzi le orecchie con le vostre sgangherate congetture!” disse Josè e continuando: “Me ne vado a respirare un po’ d’aria pura al palazzo” e volò via. “Siete mai stati a palazzo?” chiese William “Mai” replicò Don Enrique “Siamo troppo vecchi e deboli per arrampicarci fin lassù” gli fece eco Aureliano “Io ho intenzione di andarci. Da lassù sarà più facile avvistare qualche imbarcazione di passaggio” sentenziò William “Se così hai deciso ti prego di portare anche me; sono vecchio ma col tuo aiuto potrò farcela!” supplicò Aureliano “Contaci vecchio” gli rispose affettuosamente William, e iniziarono a discutere dei preparativi per la loro spedizione al palazzo. Trascorsero la notte insonnee la mattina seguente, rifornitisi di vivande, Aureliano, William e Josè salutarono Don Enrique che rimase ad attendere il loro ritorno alla capanna.

Guidati da Josè, iniziarono la salita verso il monte, risalendo il fiume, attraversando Tunnel sempre più fitti di vegetazione e incontrando specie di fiori e frutti, e persino animali, a loro completamente sconosciuti e, fra i battibecchi di Josè e William per decidere la direzione giusta da seguire, a sera inoltrata giunsero alle porte delpalazzo e decisero di passare là fuori la notte. Le prime luci dell’alba svegliarono i tre amici che, mangiato a malapena qualche frutto, spinti da una curiosità frenetica, si accinsero a fare ingresso nel palazzo. Gli si presentò davanti un enorme atrio, abitato da numerosi uccelli che vi avevano costruito il nido e da diverse piante rampicanti dai fiori viola e arancio; procedendo nell’esplorazione trovarono molte altre stanze, tutte nel medesimo stato tranne una, stranamente arredata, pulita e ordinata; camminarono ancora un po’ e giunsero in un giardino al centro del palazzo, curato perfettamente e nel cui centro stava una bellissima e grandissima orchidea. “Per mille naufragi!” esclamò stupito Josè e iniziò a svolazzarci sopra per ammirarla meglio.
“E’ meravigliosa!” esclamarono Aureliano e William. Stupiti da tanta bellezza non si accorsero della vecchina che, seduta in un angolo del giardino, li fissava meravigliata con occhi di smeraldo. William fu il primo ad accorgersi di lei e, avvicinatosi, con un inchino si presentò: “Buondì,buona dama, Io sono il principe William e questi sono i miei amici Aureliano e Josè”.

La vecchina spaventata non rispose e Aureliano con voce rassicurante dolcemente le si rivolse: “Gentile dama, veniamo in pace e le porgiamo i nostri omaggi” e, poiché lei continuava a tacere: “Possiamo, di grazia, conoscere il suo nome?” continuò Ma la vecchina scoppiò in un pianto triste ed inconsolabile..Aureliano e William riuscirono un po’ a calmarla raccontandole le vicende che li avevano condotti là, ed infine le chiesero: “Vive qui sola?” Finalmente, rassicurata, rispose: “Si, da più di cento anni ormai; se vorrete ascoltarla, vi racconterò la mia storia” “Siamo tutto orecchie!” strillò l’impotuno Josè “Saremo lieti di ascoltarla” replicò William fulminandolo con lo sguardo; la vecchina iniziò a raccontare: “Tanto tempo fa il giovane principe Miguel, tornando da un lungoviaggio, scoprì questa isola attirato dall’intenso profumo delle orchidee che ne ricoprivano, rigogliose e variopinte, l’intera superficie, Ne colse alcune e le portò in dono alla principessa Giada, sua giovane e bella sposa che, visti quei fiori stupendi, subito se ne innamorò. Fu così che, per amore di Giada, il principe Miguel decise di condurla con la sua corte ad Orchidea, e qui fece dell’isola il più bel regno che fu mai esistito. Pocopiù tardi nacque loro una bambina, Felicia, dagli occhi di smeraldo, gli stessi della mamma Giada. In occasione del suo primo compleanno, a Orchidea si preparò una grande festa e giunse la zia Rachele sorella maggiore della principessa Giada, donna di indole malvagia, gelosa fin dall’infanzia della sorella e conoscitrice delle arti della stregoneria. Rachele aveva portatocon se, come dono per Felicia, un bellissimo balocco: una bambola di porcellana alta quasi un metro e vestita di un prezioso abito di velluto e organza, arricchito con pizzi e merletti; i genitori di Felicia, invece, avevano coltivato per lei la più bella, grande e profumata orchidea che si fosse mai vista. La notte della vigilia Rachele, passeggiando per i corridoi del grande palazzo, giunse nel giardino dove vide Katy, damigella di Giada, che bagnava amorevolmente la grande orchidea: “Che splendore ! ” disse Rachele “Si, è stupenda!” rispose Katy e continuò:”E’ il regalo dei genitori per la piccola Felicia”. Rachele si rabbuiò in viso e scomparve senza proferire parola. Avendo notato che il suo regalo sfigurava enormemente rispetto a quello della sorella, per gelosia decise di mettere una polvere velenosa all’interno del fiore per uccidere la piccola Felicia e godere, una volta per tutte, nel veder soffrire la sorella minore. Prese così, la polvere dalla sua stanza e si recò nel giardino; non accorgendosi di non essere sola, mise il veleno all’interno del fiore quando, un rumore di foglie calpestate, attirò la sua attenzione: “Chi è là?” chiese minacciosa. C’era Katy che, rimanendo in silenzio, tentò didarsi alla fuga ma con un agile scatto Rachele la raggiunse e la afferrò per un braccio: “Trascorrerai il resto dei tuoi giorni senza poter vedere la luce del sole!” A nulla valsero le suppliche e le preghiere di Katy: la trascinò nella boscaglia fino a giungere all’entrata di una caverna nella quale la rinchiuse con un pesante masso. La mattima si diede inizio alla festa: un ricchissimo banchetto, giochi, canti e danze precedettero il momento in cui, dopo il taglio della torta, Felicia si accingeva a ricevere i doni e per primo, quello dei genitori; Giada precedette gli altri nel giardino per controllare che tutto fosse in ordine e, dopo aver ammirato il fiore, volleodorarlo nuovamente ma, davanti a poche persone, si accasciò e morì. Per tutto il palazzo echeggiarono pianti e grida di dolore; Rachele simulando rabbia e dolore, con un incantesimo fece sì che le orchidee non producessero più alcun odore ma, il principe Miguel fuori di sé dal dolore, ordinò che tutte venissero estirpate. Le settimanepassavano, Felicia cresceva triste con la zia Rachele e Miguel, come un automa, girovagava giorno e notte senza meta da un punto all’altro dell’isola, finchè una mattina, giunto davanti ad una caverna chiusa da un masso, decise di spostarlo e all’interno trovò Katy, pallida e deperita, ma ancora viva. Lei gli raccontò,tra le lacrime, della sera in cui aveva visto Rachele mettere il veleno nel fiore, e di quando fu imprigionata per non parlare. “Nooo!” urlò Miguel in preda all’ira, correndo a radunare i suoi uomini e la sua corte e, fatta prigioniera Rachele, parlò così davanti a tutti: “Tornerete tutti alla patria natìa, e lì farete processare e giustiziare questa donna” , indicando Rachele con l’indice, ” Partirete stasera stessa, così ho deciso!”. Poi si allontanò e tornò a palazzo nelpomeriggio, quando ormai era già vuoto; solo Katy e Felicia lo attendevano “Dammi mia figlia” e ordinò, la baciò teneramente come fosse l’ultima volta e Katy capì che stava per accadere qualcosa di terribile. “Avvolgila in una copertina e riportamela subito” le disse porgendogliela.

Katy portò via Felicia e gli riportò subito dopo il fagottino avvolto nella copertina; Miguel lo prese e si diresse verso il bastione più alto del suo palazzo “Non lo faccia!” lo supplicò Katy ma, ormai insensibile a tutto, fece il salto estremo: si lanciò nel vuoto, cadde in mare e morì. Katy, sconvolta, prese tra le braccia la piccola cha si trovava sana e salva all’interno del palazzo e, piangendo, guardò tristemente le navi salpare. Ma, a poche migliadalla costa Rachele, incatenata in una stiva, usò i suoi poteri malefici per provocare una tempesta e lanciò un maleficio:

“CHE DA OGGI PER IL FUTURO
QUESTA ISOLA SIA PREDA
DI UN FATO OSCURO!
UNA TEMPESTA DOVRA’ SCOPPIARE
OGNI VOLTA CHE UNA NAVE
PROPRIO QUI’ VORRA’ APPRODARE!
PIU’ NESSUN PALAZZI POTRA’ COSTRUIRE
E CHI FARLO VORRA’ FARE DOVRA’
CIO’ CHE GIADA OSO” PRIMA DI MORIRE!”

Tutte le navi naufragarono e nessuno fu salvo. Katy rientrò nel palazzo e si prese cura di Felicia fino alla morte; “quella bambina sono io: il mio nome è Felicia!”. I tre amici rimasero di ghiaccio. Interminabili minuti passarono in silenzio finchè Aureliano osò: “Ecco il perché delle strane burrasche e dei naufragi! La sua vita, Donna Felicia, deve essere stata molto triste! C’è qualcosa che possiamo fare per allietarla?”. “Niente, vi ringrazio;ma c’è qualcosa che io posso fare per voi: darò al principe William il regno che stava cercando e metterò fine alla maledizione” rispose Felicia. “Cosa vuol dire? Che morirà respirando il veleno della grande orchidea?” chiese William allarmato. “E’ quello che farò” sentenziò Felicia “Noi non possiamo permettervi di farlo!” dissero in coro i tre amici “Sono vecchia ormai, lasciate che raggiunga i miei cari respirando il profumo che per ultima mia madre respirò” concluse, e, avvicinatasi alla grande orchidea, chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Non morì.Il tempo aveva fatto svanire il potere del veleno, ma ecco che dal terreno iniziarono a germogliare nuove orchidee, ed in poche ore l’isola fu di nuovo ricca dei fiori stupendi. Le tempeste cessarono, William partì e tornò con la sua sposa e la sua corte, e costruì un magnifico regno; Aureliano e Felicia vissero serenii pochi anni rimasti loro, e Orchidea tornò ad essere l’isola felice do un tempo, ricca di quei bellissimi fiori che, ahimè, non profumavano più!

Dany Kant: dany.kant@tiscali.it