Pandolfo piè di zolfo
Era il dì lunedì cantò il gal chicchirichì. E’ così che fu svegliato Sir Pandolfo il gran soldato. Con l’elemetto e l’armatura cominciò la sua avventura, con la spada messa al fianco salì sul cavallo bianco. Intraprese il suo cammino fino al regno lì vicino dove, tutti avean detto, c’era un mostro maledetto e la domenica mattina si mangiava una bambina, come pan con marmellata.
… Solo una ne è restata.
La più piccola lei è delle tre figlie del Re. “Ah che gran maledizione” piange la popolazione; “così triste è la sorte” è quel che si dice a corte. Il Re intanto, disperato, un editto ha emanato:
SARA’ DATA OGNI RICCHEZZA
A CHI COMPIE LA PRODEZZA
A COLUI CHE CON MAESTRIA
SALVERA’ LA BIMBA MIA
Arrivati a venerdì il gran drago è ancora lì, urla forte e col suo fiato tanti prodi ha già bruciato. Ride, ride e con la zampa schiaccia chi incauto avanza. Con la coda fa volare chi lo prova ad assaltare. Ma torniamo a Padolfo ed al forte odor di zolfo che dal piede suo sale quando leva lo stivale. Nelle notti del cammino ogni erba lì vicino per la puzza appassiva mentre lui, seren, dormiva e poichè per tutto il viaggio veder acqua fu miraggio, il piedone di Pandolfo ancor più darà di zolfo.
Di domenica, al mattino, arrivò al suo destino. Superato il ponte in legno il soldato entrò nel regno Cavalcando il suo destriero calpestò il suol straniero e quel che a lui si presentò di spiegarvi tenterò. C’eran tante bancarelle con le loro merci belle e la gente, mamma mia!! che veloce andava via; verso casa, nelle stalle, al ripar delle cavalle. Anche il cane e la gallina si nascosero in cantina mentre il porco Grugnostorto fece finta d’esser morto. Corse il prè dalla badessa al finire della messa e anche gli uomini più forti si nascoser nelle corti mentre il gallo Zampalesta sotto il fieno zitto resta. In men che non si dica, nelle vie non ci fu vita, nelle case fu paura scoccò l’or della tortura. Cielo e terra, tremò tutto, al venir del drago brutto. Canticchiava uno stornello sulla strada del castello:
E’ domenica mattina
a colazione una bambina
uno due, un due tre
questa volta tocca a te.
Questa volta dopo messa
mangerò la principessa
delle tre la più piccina
ed il re va in rovina
questo non importa a me
uno due, un due tre.
apri presto quel portone
che ti mangio in un boccone
proprio a te oggi tocca
dolce bocca d’albicocca
uno due, un due tre
questa volta tocca a te!
Visto questo Sir Pandolfo, con la sua puzza di zolfo, alla tana andò del mostro per attenderlo nascosto e tirargli un bel tranello al ritorno dal paesello. Ahimè questi tornando la presenza andò fiutando di Pandolfo intraprendente con il piede puzzolente e, nascosta la bambina nella grotta lì vicina scoprirà il soldato in un cespuglio riparato. Grande fu la sicurezza, decisione ed esattezza di Pandolfo nel lanciare al bestione un alveare. Salti, pianti e grande urlare e Pandolfo andò a scalciare così forte da far volare e di schiena atterrare. Per effetto del rimbalzo lui, Pandolfo, restò scalzo ed un piede, guardacaso, finì proprio sotto il naso del dragone dolorante steso al fianco agonizzante.
Al sostegno puzzolente non ci volle proprio niente a stecchire il monumento nel passare di un momento col suo acre, forte odore senza fare alcun rumore. Il vento, poi, la puzza prese per portarla giù al paese attirando l’attenzione della gran popolazione. Fu così che la gente, per scoprir l’odor fetente, salì fino alla collina ritrovando la bambina, il dragone avvelenato e Sir Pandolfo addormentato. Ci fu festa per sei giorni con ciambelle e suon di corni. Sir Pandolfo fu osannato e dal Re poi premiato. Grandi dame e cavalieri tintinnarono i bicchieri e non per scelta e non per caso ben tappato avean il naso, così chiuso in sofferenza fino al dì della partenza quando, con starnuti vari, fecer festa anche le nari che con Pandolfo acclamato anche il puzzo se ne è andato.
STRETTA LA FOGLIA LARGA LA VIA
DITE LA VOSTRA CHE HO DETTO LA MIA